Sogni felini

>> domenica 1 marzo 2009

I gatti o.g.m. furono una notevole rivoluzione nel campo socio/commerciale. Per la modica cifra di 500 € si poteva avere un animale domestico, affettuoso fino alla nausea, che rispondeva a tutte le esigenze del cliente. C’era chi li preferiva asessuati, statici, quasi dei peluche da sistemare sul salotto. Alcuni li volevano inclini alle arti, altri che svolgessero le mansioni domestiche, altri risoluti e stizzosi. Poi, per le altre eventuali bizzarre richieste, c’erano i gatti portati per le scienze, quelli da guardia con artigli e denti assai più consistenti, quelli che praticavano gli sport più disparati.
Alberto –­così c’era scritto sul collarino– l’avevo trovato accucciato sul davanzale, ancora cucciolo, mi aveva scelto come padrone. Non sapevo se fosse un o.g.m., faceva tutte le cose che fanno di norma i gatti: apriva le porte usando la maniglia, si fingeva zoppo quando voleva essere coccolato, ordinava da solo via internet le scatolette di vitel tonné che adorava, teneva il telecomando della tv stretto nelle piccole fauci quando c’era Quark o La macchina del tempo; aveva preso il vizio di fumare quando era troppo nervoso; mi prenotava –sempre via internet– un appuntamento con lo psicanalista quando mi vedeva depresso; era membro onorario del CICAP.
Quando sprofondava nella fase REM, il mio gatto, era solito impersonare scorribande e duelli all’ultimo artiglio; ne sono sicuro, lo capivo dal movimento schizoide delle sue vibrisse. Ma forse era solo un’impressione, passavo ore ad osservarlo, mi chiedevo cosa mai stesse sognando; sicuramente se ne sbatteva altamente di tutta la psicologia froidiana, forse, invece, rincorreva i misteri della meccanica quantistica, ipotizzava collegamenti tra particelle ad una velocità superiore a quella della luce, per poi chiedersi dove fosse finita (o infinita?) la massa. Oppure cercava di avvertire e intrappolare un neutrino mentre furtivamente lo trapassava. Oppure ancora, stanco dei comportamenti incongruenti che assume la materia a livelli subatomici, si divertiva a srotolare con le graziose agili zampette i gomitoli cromosomici del suo DNA, quasi a rintracciare quei geni di troppo, quelle variazioni genetiche che scatenavano in lui anche i dubbi dell’etica scientifica. Non c’è che dire, eravamo proprio una bella coppia di esseri viventi! Tutti lo sanno: il gatto è per sua natura curioso. E tutti sanno anche che l’uomo è curioso. I gatti sono o.g.m., gli uomini sono anch’essi o.g.m. e tutto ciò che oggi vive è o.g.m., e siamo ancora tutti tremendamente curiosi.
Per lo strano contatto telepatico che si stabilisce tra un uomo e un animale che convivono, ci conoscevamo perfettamente a vicenda. Gli volevo bene e lui me ne voleva. Colmava un vuoto della mia vita che la famiglia, gli amici, le donne, non erano riusciti mai a riempire. Condividevamo lo stesso amore per la scienza, la fantascienza, l’ignoto. Così avevo imparato a sognare con lui, a vivere le sue fantasie, a rinnegare il principio di indeterminazione di Heisemberg e stabilire contemporaneamente la velocità e la posizione degli elettroni, per poi saltare su di essi da un’orbita all’altra sfruttando quanti d’energia. In quei giorni che ci accostavamo alla vecchiaia, io sulla poltrona, lui nel cestino da frutta, assaporavamo il gusto stravagante della microfisica. Sperammo a lungo, di finire prima o poi nel nucleo dell’atomica giostra.
Sono quindici giorni che non torna a casa, sembra che qualcuno l’abbia visto mentre si faceva accarezzare da un barbone giù alla baraccopoli degli ultimi esemplari umani di organismi non geneticamente modificati; lo aspetto, anche lui deve fare le sue esperienze e del resto non l’ho mai imprigionato: è sempre stato libero di fare, dire, pensare quel che voleva. Però mi manca. Lo aspetto, aspetto il miagolio nervoso dietro la vetrata di casa a dire «allora, mi apri o no?». Aspetto.
Il mio gatto era veramente un portento o semplicemente si beava adagiato nel suo cestino da frutta imbottito con ritagli di coperta caldi e puliti? Eppure, o.g.m. o no, aveva tutta l’aria di chi la sa lunga. Anche quando dormiva!

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