Puglia - La punta del tacco (di U. Mantaut)
>> lunedì 5 gennaio 2009
Sul far della sera le strade del centro si animano e i leccesi confluiscono nella bella piazza di Sant’Oronzo, salotto buono della città, con il grande anfiteatro romano e il Palazzo del Seggio, detto il Sedile, costruito nel 1592 quand’era sindaco Pietro Mocenigo.
E’ l’ora dello “struscio”. La folla è composta in gran parte da giovani, gente bella, frutto di un millenario miscuglio multietnico. Nel Salento e più in generale in tutta la Puglia hanno vissuto, sono transitati e si sono insediati, spesso prepotentemente, quasi tutti i popoli del bacino mediterraneo e molti intrusi venuti da terre settentrionali, integratisi poi perfettamente nella parte più sudorientale dell’italica penisola.
I greci vi trovarono gli antichi abitatori japigi, messapi e salentini. Vi fecero incursioni i sanniti e i lucani. Roma lottò a lungo in queste contrade contro l’odiata Cartagine. Poi vennero goti, eruli, longobardi, saraceni e bizantini. Dall’est si affacciarono ungari e slavi, ma la fioritura culturale venne con i normanni, gli svevi e gli angioini, e successivamente con aragonesi e castigliani. Buoni ultimi i Borboni che, per la verità, consegnarono all’Italia dei Savoia una regione retrocessa a povera provincia agricola, con le potenzialità per ritornare ai giorni nostri ricca, prospera e civile.
Nei tratti somatici i salentini rivelano origini elleniche e levantine, arabe e balcaniche, mitteleuropee ed iberiche. Quasi mai corrispondono all’immagine stereotipata dell’italiano del sud. A Lecce s’incontrano bellezze brune con gli occhi verdi, bionde dalla carnagione olivastra, rosse lentigginose e more magrebine. La provincia ha un suo dialetto, ma quando questa gente parla in italiano non s’odono accenti fastidiosi, come se l’intera cittadinanza avesse frequentato corsi di dizione.
Lecce è una città colta, l’Atene delle Puglie.
E’ l’ora dello “struscio”. La folla è composta in gran parte da giovani, gente bella, frutto di un millenario miscuglio multietnico. Nel Salento e più in generale in tutta la Puglia hanno vissuto, sono transitati e si sono insediati, spesso prepotentemente, quasi tutti i popoli del bacino mediterraneo e molti intrusi venuti da terre settentrionali, integratisi poi perfettamente nella parte più sudorientale dell’italica penisola.
I greci vi trovarono gli antichi abitatori japigi, messapi e salentini. Vi fecero incursioni i sanniti e i lucani. Roma lottò a lungo in queste contrade contro l’odiata Cartagine. Poi vennero goti, eruli, longobardi, saraceni e bizantini. Dall’est si affacciarono ungari e slavi, ma la fioritura culturale venne con i normanni, gli svevi e gli angioini, e successivamente con aragonesi e castigliani. Buoni ultimi i Borboni che, per la verità, consegnarono all’Italia dei Savoia una regione retrocessa a povera provincia agricola, con le potenzialità per ritornare ai giorni nostri ricca, prospera e civile.
Nei tratti somatici i salentini rivelano origini elleniche e levantine, arabe e balcaniche, mitteleuropee ed iberiche. Quasi mai corrispondono all’immagine stereotipata dell’italiano del sud. A Lecce s’incontrano bellezze brune con gli occhi verdi, bionde dalla carnagione olivastra, rosse lentigginose e more magrebine. La provincia ha un suo dialetto, ma quando questa gente parla in italiano non s’odono accenti fastidiosi, come se l’intera cittadinanza avesse frequentato corsi di dizione.
Lecce è una città colta, l’Atene delle Puglie.
E’ una città d’arte, la Firenze del sud. Tuttavia, quasi nessuno ha pensato di paragonarla ad un’altra città fantastica, Lecce è la Quito d’Europa. La lontanissima capitale dell’Ecuador non ha molto da spartire con Lecce per quanto concerne la posizione geografica. Lecce è un grosso centro che si è esteso in una ricca piana agricola fra due bracci di mare, Quito è arroccata sulle Ande impervie, a 3000 metri, circondata da giganteschi vulcani. E’ il centro storico delle due incredibili città che presenta stranissime somiglianze. Purtroppo, almeno per ora, solo Quito è protetta e dichiarata patrimonio dell’umanità, per le sue bellezze e l’eccezionale concentrazione di monumenti barocchi. Di Lecce e del Salento si parla poco, persino in Italia. Anche in questo modo si perpetua l’ingiustizia di considerare il nostro meridione come area depressa, priva di vere attrattive e, quindi, tagliata fuori degli interessi economici e dagli itinerari turistici.
Lecce, quasi pudicamente, ha avvolto il suo stupendo centro storico in una fascia di viali e giardini alberati, che separano la città antica dagli insignificanti quartieri moderni. Quando si perlustra il dedalo delle vie centrali dove si allineano splendidi palazzi o ci si addentra nelle piazze dominate dalle facciate barocche delle innumerevoli chiese si rimane a bocca aperta.
Sarebbe lungo enumerare tutti i capolavori dell’arte leccese. Basti citare Santa Croce e il Duomo, il Palazzo del Governo, quello vescovile e il Seminario, il Campanile, la Chiesa del Gesù, quella del Carmine, Sant’Angelo, i SS. Niccolò e Cataldo, Santa Chiara e San Matteo, senza contare le numerose residenze nobiliari dell’aristocratica città.
La pietra leccese è un calcare tenero che si lavora con scalpelli, pialle e accette, ma che all’aria indurisce ed assume il colore dell’oro fino.Così i grandi manufatti architettonici hanno piuttosto l’aspetto d'elaborate sculture, opere cesellate con raffinatezze d’alta oreficeria. Le facciate leccesi sono una profusione di colonne tortili, frontoni curvilinei, balaustre traforate, festoni di fiori e frutti di pietra, rosoni, sfilate di angeli, putti, maschere e cariatidi, balconi scolpiti, portali e finestre dalle ricchissime cornici piene di fregi, nastri e stemmi. Lo stile non è stato abbandonato negli interni, anzi, passando dalla luce accecante del mezzodì ionico all’ombra amica delle navate basilicali e dei saloni dei palazzi, il barocco si avvale di materiali ancor più duttili della pietra leccese. I marmi policromi e il legno, ricoperto con lamine d’oro zecchino, captano la fioca luce dei luoghi di culto e delle dimore patrizie e la rifrangono con effetti sorprendenti.. Gli altari sfavillano come scrigni traboccanti di pietre preziose, la cornici rischiarano i quadri come riflettori puntati da sapienti tecnici dell’illuminazione, santi e madonne sorridono indulgenti ai fedeli abbagliati dai loro paramenti sontuosi, degni di sovrani potenti, incommensurabilmente ricchi. In alcuni casi l’effetto è ipnotico e non si vorrebbe più andar via.
Da Lecce si dipartono come i raggi di una stella perfetta numerose strade rettilinee. Raggiungono le più belle località del Salento che si adagiano pigramente nella piana assolata o si allineano sulla costa luminosa dei due bracci dello Ionio, giù fino all’estremità del tacco dello stivale dove Santa Maria di Leuca spinge il suo sguardo verso il favoloso oriente. Ecco San Cataldo, con le sue spiagge, Otranto alla foce dell’Idro, Gallipoli protesa nel mare, e all’interno le bellissime cittadine di Nardò, Galatina, Maglie, Casarano, Copertino e Tricase. Ancora palazzi, castelli, cattedrali e mura. Città bianche con i forti chiaroscuri delle medine arabe, solo che nel Salento non ci sono minareti e le aree agricole non sono desertiche, bensì ricche di magnifici uliveti secolari, vigne generose, verdi agrumeti ed orti fertilissimi. Al paesaggio quasi monotono delle zone pianeggianti si contrappone la sorprendente bellezza delle coste frastagliate e rivestite della macchia odorosa, dove occhieggiano ruderi di antiche torri d’avvistamento, trulli, fattorie e ville.
Quando si giunge al Santuario di Santa Maria di Leuca, il Salento si protende nel mare nel punto in cui l’Italia riceve all’alba il primo raggio di sole. Siamo sullo Iapygium promontorium, detto anche promontorium Sallentinum o de Finibus Terrae, il tallone della penisola italica, 39° 47’ 41 “ latitudine N e 18° 22’ 13” longitudine E di Greenwich.
Secondo la leggenda o, se si vuole la superstizione, il pellegrinaggio in questo sito è un passaporto per il paradiso. Chi non ci viene da vivo dovrà qui recarsi dopo la morte.
Lecce, quasi pudicamente, ha avvolto il suo stupendo centro storico in una fascia di viali e giardini alberati, che separano la città antica dagli insignificanti quartieri moderni. Quando si perlustra il dedalo delle vie centrali dove si allineano splendidi palazzi o ci si addentra nelle piazze dominate dalle facciate barocche delle innumerevoli chiese si rimane a bocca aperta.
Sarebbe lungo enumerare tutti i capolavori dell’arte leccese. Basti citare Santa Croce e il Duomo, il Palazzo del Governo, quello vescovile e il Seminario, il Campanile, la Chiesa del Gesù, quella del Carmine, Sant’Angelo, i SS. Niccolò e Cataldo, Santa Chiara e San Matteo, senza contare le numerose residenze nobiliari dell’aristocratica città.
La pietra leccese è un calcare tenero che si lavora con scalpelli, pialle e accette, ma che all’aria indurisce ed assume il colore dell’oro fino.Così i grandi manufatti architettonici hanno piuttosto l’aspetto d'elaborate sculture, opere cesellate con raffinatezze d’alta oreficeria. Le facciate leccesi sono una profusione di colonne tortili, frontoni curvilinei, balaustre traforate, festoni di fiori e frutti di pietra, rosoni, sfilate di angeli, putti, maschere e cariatidi, balconi scolpiti, portali e finestre dalle ricchissime cornici piene di fregi, nastri e stemmi. Lo stile non è stato abbandonato negli interni, anzi, passando dalla luce accecante del mezzodì ionico all’ombra amica delle navate basilicali e dei saloni dei palazzi, il barocco si avvale di materiali ancor più duttili della pietra leccese. I marmi policromi e il legno, ricoperto con lamine d’oro zecchino, captano la fioca luce dei luoghi di culto e delle dimore patrizie e la rifrangono con effetti sorprendenti.. Gli altari sfavillano come scrigni traboccanti di pietre preziose, la cornici rischiarano i quadri come riflettori puntati da sapienti tecnici dell’illuminazione, santi e madonne sorridono indulgenti ai fedeli abbagliati dai loro paramenti sontuosi, degni di sovrani potenti, incommensurabilmente ricchi. In alcuni casi l’effetto è ipnotico e non si vorrebbe più andar via.
Da Lecce si dipartono come i raggi di una stella perfetta numerose strade rettilinee. Raggiungono le più belle località del Salento che si adagiano pigramente nella piana assolata o si allineano sulla costa luminosa dei due bracci dello Ionio, giù fino all’estremità del tacco dello stivale dove Santa Maria di Leuca spinge il suo sguardo verso il favoloso oriente. Ecco San Cataldo, con le sue spiagge, Otranto alla foce dell’Idro, Gallipoli protesa nel mare, e all’interno le bellissime cittadine di Nardò, Galatina, Maglie, Casarano, Copertino e Tricase. Ancora palazzi, castelli, cattedrali e mura. Città bianche con i forti chiaroscuri delle medine arabe, solo che nel Salento non ci sono minareti e le aree agricole non sono desertiche, bensì ricche di magnifici uliveti secolari, vigne generose, verdi agrumeti ed orti fertilissimi. Al paesaggio quasi monotono delle zone pianeggianti si contrappone la sorprendente bellezza delle coste frastagliate e rivestite della macchia odorosa, dove occhieggiano ruderi di antiche torri d’avvistamento, trulli, fattorie e ville.
Quando si giunge al Santuario di Santa Maria di Leuca, il Salento si protende nel mare nel punto in cui l’Italia riceve all’alba il primo raggio di sole. Siamo sullo Iapygium promontorium, detto anche promontorium Sallentinum o de Finibus Terrae, il tallone della penisola italica, 39° 47’ 41 “ latitudine N e 18° 22’ 13” longitudine E di Greenwich.
Secondo la leggenda o, se si vuole la superstizione, il pellegrinaggio in questo sito è un passaporto per il paradiso. Chi non ci viene da vivo dovrà qui recarsi dopo la morte.
1 commenti:
Dario Magni: bellissima descrizione della città di Lecce. Mai ci sono stato, ma dopo aver letto questo, sicuramente andrò ...in un futuro prossimo.... a visitare questa città meravigliosa!...(sono sicuro che la descrizione così minuziosa della città di Lecce è opera di un viaggiatore di grande esperienza!.... credo sia Umberto, ..no?)..... bellissima descrizione di una città situata nel profondo sud dell'italia!
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